Quattro chiacchiere con il giovane talento che ha ideato l’algoritmo alla base della realizzazione degli arazzi presentati da Tollegno 1900 a Pitti Filati

Si dichiara “appassionato di maglieria e narrazione” Michele Fumagalli, 24 anni, “originario di un paesino tra Lodi e Crema” e studente alla magistrale di Design for the Fashion System dove, da attento storyteller, “ in sintesi si studia in toto la moda come sistema industriale e  produttivo inserito nel territorio e il suo rapporto con argomenti come la sostenibilità e la digitalizzazione”. Una scelta quella di intraprendere questo percorso che è una felice commistione tra passione e consapevolezza. “Dopo la mia prima laurea ho intrapreso un’esperienza lavorativa in produzione, che ha reso molto più chiari i miei obbiettivi e le mie ambizioni. Mi sono reso conto che solo questa facoltà e il Politecnico di Milano avrebbero potuto darmi tutti i contatti, le competenze e i mezzi necessari per raggiungere ciò che mi sono prefissato. Dopo la Laurea mi piacerebbe infatti entrare nel mondo della ricerca di maglieria industriale, in particolare di efficientazione dei processi in chiave di sostenibilità”. Le idee chiare, Michele, non le dimostra solo nei confronti del suo avvenire, ma anche nei progetti in cui è coinvolto, come, ad esempio, la realizzazione degli arazzi che arrederanno lo stand di Tollegno 1900 a Pitti Filati.

Nella pratica come hai proceduto a realizzarli?

È una domanda non facilissima a cui rispondere, ma ci provo. In prima battuta ho creato dei “pacchetti” contenenti una serie di istruzioni complesse compresse in una tavolozza di codici da usare per programmare velocemente. Ad esempio ho creato il pacchetto che corrisponde a tutti i comandi che la macchina deve eseguire per fare un punto di un colore prestabilito mentre le altre cromie vengono bloccate efficacemente sul retro. Testato che tutto funzionasse, con alcuni membri dello staff di Tollegno 1900 e la mia compagna di corso Federica Coti Zelati abbiamo scelto le combinazioni della vastissima gamma di Harmony per poi valorizzarlo con 5 vibrantissime palette alla base degli arazzi. Successivamente Federica ha realizzato un ventaglio di immagini evocative, le quali sono state passate attraverso un mio algoritmo esclusivo di compressione dei colori. Questo algoritmo fa sì che, da milioni di possibili colori che può avere un pixel, se ne sintetizzino 5, rendendo così l’immagine perfettamente convertibile a programma di maglieria.

Questo algoritmo ha avuto anche altri meriti?

Unito al database di “yarnbank” si è dimostrato  estremamente utile per fornire in tempo reale dei piccoli render di come le palette sarebbero risultate. Una volta decise le immagini, le palette e i filati che sarebbero stati utilizzati, ho realizzato una prova di resa maglia con il materiale di Tollegno 1900 per stabilire così il numero corretto di aghi e ranghi per ottenere un prodotto con le misure previste.

Queste prove servono però anche ad altro..

Esattamente. Questo genere di test si fanno anche per verificare la resa grafica e la consistenza del filo. Il filato Harmony si è dimostrato da subito straordinario, non solo nella resa colore, ma anche nella resistenza e lavorabilità, garantendo un risultato perfetto e soprattutto quasi azzerando gli imprevisti.

L’ultima fase del processo ti ha richiesto un ulteriore intervento di “ottimizzazione”?

Si, ho proceduto a dare gli ultimi tocchi alle immagini in modo che fossero delle dimensioni corrette e tenessero in conto della naturale deformazione di uno jaquard. L’obiettivo è che risultassero proporzionate una volta smacchiate. Infine le ho convertite in un programma di maglieria usando i pacchetti creati in precedenza.

Ottenuti i programmi che succede?

Si procede con la parte più soddisfacente di tutto il progetto: mettere i fili in macchina e la dar vita a tutto il lavoro che abbiamo fatto, creando infine i nostri arazzi.

 

Il programma che hai realizzato, rispetto a quello “classico” di Shima, in cosa si differenzia? 

Non sono un programmatore esperto e perciò non penso di aver fatto nulla di particolarmente nuovo. La vera sfida è stata quella di variare il modo in cui i fili vengono lavorati sul retro del telo, minimizzando l’allungamento dell’immagine senza perdere la consistenza del telo finale.  Sicuramente di valore ed impattante è stato ripensare alla disposizione dei guidafili. La soluzione adottata praticamente ci ha permesso di azzerare le corse a vuoto che la macchina usualmente compie nei programmi di default. Ciò ha consentito di tagliare di almeno 3/4 il tempo necessario per smacchinare rispetto alla tecnica tradizionale. Anche in questo caso, però, mi sento di dire, sia una basica miglioria fatta da sempre.

Un aspetto importante riguarda anche i colori: come sono stati ottenuti quelli usati sugli arazzi?

La compressione dei colori rappresenta indubbiamente la parte più interessante. La maglieria e le immagini digitali sono perfettamente sovrapponibili, in quanto entrambe parlano per “caselle” che possono assumere determinati valori, che siano i pixel coi colori o le maglie con i punti. L’algoritmo che ho creato, oltre a permettermi di fare aggiustamenti “in corsa” senza dover rifare tutto, è stato basato su alcuni principi presi in prestito dalla pixel art. In sintesi: grazie ad un particolare tipo di puntinismo sviluppato da me si riesce a creare l’illusione di colori e dettagli molto più complessi rispetto alla compressione tradizionale, quando in realtà si parla di 5 colori e una definizione degna di un vecchio Atari. Questa tecnica funziona solo se determinate condizioni del filato vengono rispettate e Harmony si è dimostrato perfetto per lo scopo.

In termini futuribili, il programma sviluppato ha a tuo giudizio ulteriori margini di miglioramento?

Decisamente, per quanto sia bello godersi lo spettacolo di immagini vibrantissime tutto il sistema che ho creato presenta enormi difetti.  Il primo è che, al momento, questo sistema può essere usato solo per coperte, arazzi o tappeti. Il prossimo passo è creare effettivamente dei capi o altri prodotti calati, cosa non affatto scontata col sistema jaquard. Il secondo problema è che il mio algoritmo non differenzia i colori ma solo i grigi. Mentre gli applicativi tradizionali sono incredibili a distinguere i colori fra loro, il mio algoritmo è capace solo di capire quanto questi siano scuri o chiari, avendo perciò difficoltà enormi con immagini con poco contrasto.

Compresi i margini di miglioramento, ti ritieni soddisfatto di questa esperienza?

Diciamo che questi arazzi rappresentano per me una fotografia dei miei risultati attuali nel mio viaggio all’interno della maglieria, un buon risultato ma non un traguardo, c’è tantissimo da esplorare e imparare. Questo sistema che ho messo a punto può essere solo migliorato e non vedo l’ora di farlo.

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