Quello di Tollegno 1900 è tra i più completi in Europa, voce della sua storia ma anche della cultura e dello stile italiani. A raccontare come è nato, svelando qualche curiosità, è Marinella Bianco

Che cosa hanno in comune aziende come Armani e Peroni, Pucci e Menabrea, ma anche Max Mara e Alessi oppure Ferragamo e Lavazza? Tutte hanno un archivio storico organizzato che viene valorizzato nella sua essenza utilizzandolo come showroom o museo. Continuum tra passato e presente, tra storia e futuro, testimone silenzioso dell’evoluzione di ogni impresa, l’archivio storico è però molto di più. A sostenerlo è Marinella Bianco, archivista, co-titolare di Acta Progetti di Torino e referente dell’archivio storico di Tollegno 1900. A lei va inoltre il merito di aver condotto un censimento di archivi storici d’impresa per conto del Ministero della Cultura e della Regione Piemonte – durante il quale si è imbattuta in Tollegno 1900 – e di aver ideato il Centro rete biellese degli archivi tessili e della moda nel 2010.

Che ruolo ha un archivio storico nell’ accrescere o consolidare la reputazione di un’azienda?

Indubbiamente rappresenta un valore aggiunto non secondario. Pensiamo ad esempio proprio a Tollegno 1900: il suo archivio, raro per la sua completezza, consente di affermare la lunga storia di eccellenza dell’azienda, tra narrazioni di clienti illustri e dimostrazioni di tessuti sempre all’avanguardia, scelte imprenditoriali innovative, grandi direttori, globalizzazione ante litteram, welfare dall’inizio del ‘900.

Una consapevolezza a cui si è giunto dopo un lavoro titanico.

Il lavoro è iniziato ormai dodici anni fa coordinato da Annamaria Coda, responsabile Risorse Umane di Tollegno 1900 che ha sempre custodito e preservato tutto il materiale: per i primi due è stato finanziato da Compagnia di San Paolo e da Regione Piemonte, complice un bando, ma sin da subito l’azienda ha partecipato attivamente adibendo due locali a uso archivio e mettendo a disposizione del personale per portare il materiale nei locali e spolverarlo. In prima battuta abbiamo proceduto a schedare ogni singola pratica, volume, registro, stoffa, campionario, rivista e biblioteca tematica per poi iniziare a dare una struttura gerarchica che riproducesse la formazione di questo archivio. Un’operazione difficile ma molto stimolante.

Come è stata articolata la struttura?

In livelli, che corrispondono ai diversi fondi/archivi delle varie aziende confluite o acquisite dalla Tollegno 1900. In ordine di decrescita si trovano invece le serie corrispondenti a patrimonio, amministrazione, contabilità, produzione, personale. A chiusura ci sono le sottoserie e le sotto-sotto-serie fino a giungere all’unità archivistica. Una struttura estremamente complessa in cui ogni singola unità deve trovare il proprio posto e in cui ogni livello ha un suo ordine cronologico. L’archivio, essendo in divenire, ha ancora numeri provvisori, con la sola eccezione di quello di Agostinetti e Ferrua, il più antico, che è inventariato perché finito.

Un progetto così composito, nel suo realizzarsi, non può non aver inciampato in qualche criticità..

Le maggiori che abbiamo riscontrato nel nostro percorso hanno riguardato proprio la sua struttura e, talvolta, la comprensione delle carte e la loro corretta traslitterazione. Descrivere i vari registri relativi ad attività ormai desuete, cercando di inserire tutti i dati che possono tornare utili per metterli in relazione con altri vari documenti, senza impiegarci anni, è stato un procedimento che ha richiesto grande impegno e concentrazione. Ma questo è l’unico modo di procedere per avere “storie” complete da raccontare.

Tra le diverse che siete riuscite a ricomporre, qualcuna di singolare?

Tantissime e tutte interessanti, ma alcune sono forse meno ovvie: una, ad esempio, riguarda la prima sfilata di moda maschile che si tenne a Sanremo nel 1952, creando scandalo perché gli uomini non sfilavano. Il defilè mostrava modelli di alta sartoria realizzati con tessuti biellesi, molti della Tollegno 1900, come confermano sia alcuni ordini di sarti ritrovati in azienda, sia i modelli che sono ad oggi custoditi negli archivi di sarti napoletani come Kiton, Isaia e Cacciopoli. Ricostruendo questa storia abbiamo “scovato” il fotografo ufficiale di quella manifestazione, durata 12 anni: Alfredo Moreschi. Moreschi, che a Sanremo ha il suo negozio e il suo magnifico archivio fotografico, si è reso disponibile ad una nostra intervista che è stata ripresa nel Quaderno n.3 dell’archivio storico di Tollegno 1900.

Nel Quaderno n. 5 si trovano invece anche altre curiosità che riguardano Lana Gatto, brand che fa capo alla nostra azienda…

In questo caso la storia risale agli anni Trenta del Novecento e concerne le aperture dei negozi Lana Gatto nelle principali città italiane: in ogni fascicolo abbiamo scoperto piccole chicche come i disegni dei mobili del negozio a cura degli artigiani che li avrebbero prodotti, i ritagli stampa con gli articoli sulle inaugurazioni, le fotografie degli spazi per le pubblicità murarie in piccoli paesi del sud in un Italia irriconoscibile e le bellissime fascette che chiudevano i filati. Tutto vive nel Quaderno n.5.

Nei passi compiuti sino ad ora un ruolo di primo piano lo ha rivestito anche la digitalizzazione che riguarda però una minima parte dell’archivio…

Digitalizzarlo tutto sarebbe un’impresa titanica perché è un archivio composto da un numero quasi incalcolabile di documenti cartacei e di stoffe. Al momento molti sono stati informatizzati su database vale a dire che sono stati schedati a livello informatico per ogni singola unità. Molto c’è ancora da realizzare ma l’archivio è in costante evoluzione. L’archivio storico di Tollegno 1900 è solo uno dei numerosi che esistono in Italia. Si ha un’idea di quante aziende ne abbiano uno?

Non esiste un censimento attuale, perché dovrebbe essere continuamente aggiornato data la fluidità della situazione delle imprese. Il censimento nazionale del 2010, a cui partecipai, è ormai superato: da molto tempo noi archivisti che lavoriamo con il Ministero della Cultura e siamo iscritti ad ANAI (Associazione Nazionale Archivistica Italiana), associazione di categoria cui si accede per titoli, discutiamo di avviare un progetto con Confindustria che aggiorni in automatico le chiusure o cessioni aziendali in modo da salvare i patrimoni archivistici a rischio di dispersione. Il Ministero dovrebbe anche avviare una campagna a tappeto per sensibilizzare le aziende alla salvaguardia degli archivi cartacei e non solo di prodotto o pubblicità, poiché solo l’archivio integro può testimoniare la storia se la si vuole narrare per episodi e particolarità. Lo hanno ben compreso, cogliendone l’importanza, non solo i grandi nomi della moda – penso ad esempio a Armani, Pucci, Gucci, Ferragamo, Fendi, Krizia fino a Dior, Chanel in Francia – e le imprese tessili, come Max Mara, Frette, Lanerossi, Ermenegildo Zegna, Fondazione Ratti e Mantero seta, ma anche aziende del comparto alimentare. Per citarne alcune: Casa Martini, Barilla, Lavazza, Amarelli, Peroni, Menabrea, Campari, Branca. Anche il settore del design e dell’automotive si è dimostrato sensibile sul tema come confermato dai casi di Alessi, Piaggio e Fiat in Italia e, all’estero, Swarovski, Mercedes e Porsche. Spesso vengono chiamati musei aziendali, ma in realtà sono archivi storici: un museo è una raccolta di beni diversi, invece l’archivio è tutto ciò che viene prodotto e utilizzato da un ente. Solo che questo non è un concetto diffuso.

Non particolarmente “diffusa” in Italia è anche la sua professione. Come è nata la passione per questa attività?

Nasco come archivista in senso lato – non subito d’impresa – perché dopo la laurea in lettere, storia medievale, avendo sostenuto un esame di paleografia, ho frequentato il corso biennale per archivisti presso l’Archivio di Stato di Torino scoprendo che questo mestiere mi appassionava. Ho scelto la libera professione in cui le incertezze lavorative ed economiche sono ampiamente compensate dal tipo di lavoro svolto, appagante e coinvolgente. Cambiando sempre tipologia di archivio, luogo, storia si continua ad imparare molto, perché ci si confronta con realtà diverse e con professionisti dalle competenze diverse dalle nostre, ma integrate. Noi lavoriamo nelle carceri, nelle aziende, negli enti pubblici, negli ospedali e anche in archivi antichi come quelli dell’armeria reale, delle famiglie nobiliari, degli Archivi di Stato: qui le scoperte che facciamo sono immense e sono uno sprone costante anche dopo 30 anni di lavoro.

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